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LEZIONE- SPETTACOLO “ERANO COME NAUFRAGHI”
racconto teatrale di e con Paola Rossi
produzione La Piccionaia – I Carrara / Teatro Stabile di Innovazione e con il Museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza
A TUTTI GLI STUDENTI E AGLI INSEGNANTI DELLE CLASSI QUINTE IND. TECNICO
SI COMUNICA CHE
venerdì 10 novembre 2017
Gli studenti delle classi 5A,5B,5G e 5O saranno accompagnati in Aula Magna alle 9.35 dall’insegnante della terza ora. Al termine .dello spettacolo, ore 11.20, i ragazzi rientreranno in classe.
N.B. I docenti in orario sono tenuti alla sorveglianza.
SI PREGA DI TRASCRIVERE LA PRESENTE COMUNICAZIONE NEL REGISTRO ELETTRONICO
“La strada, ora, si faceva ingombra di profughi. Sull’altipiano di Asiago non era rimasta anima viva. La popolazione dei sette comuni si riversava sulla pianura, alla rinfusa, trascinando sui carri a buoi e sui muli, vecchi, donne e bambini, e quel poco di masserizie che aveva potuto salvare dalle case affrettatamente abbandonate al nemico. I contadini allontanati dalla loro terra erano come naufraghi”
(E. Lussu, “Un anno sull’altipiano”)
Nel gioco delle complesse e talora contraddittorie vicende che caratterizzano il corso della Prima Guerra Mondiale sul fronte italiano, il territorio vicentino costituisce senza dubbio: per caratteristiche geografiche, per valore strategico e soprattutto per le ripercussioni morali e psicologiche degli avvenimenti che in esso si sono svolti, un settore di primaria importanza, tale da condizionare a un certo momento lo svolgimento dell’intero conflitto. Questo contesto fu l’unico dell’intera fronte a subire ininterrottamente per quarantun mesi le sorti di uno stato di belligeranza divenendo teatro di alcune tra le più sanguinose battaglie combattute durante il conflitto, culminate con la grandiosa “Offensiva di Primavera” meglio nota con il nome di Strafexpedition, scatenata dagli austroungarici nel maggio del 1916, a un anno dall’inizio della Prima Guerra Mondiale, lungo il vertice del saliente trentino costituito dalle Prealpi vicentine. Si trattò probabilmente della più grande battaglia che si sia mai combattuta in montagna e del tentativo militarmente più importante, se si prescinde dalla disperata offensiva del 1918, compiuto dall’Impero Asburgico di stroncare definitivamente l’Esercito Italiano. Gli abitanti di interi paesi furono costretti precipitosamente ad abbandonare le loro case, sotto all’incalzare delle bombe, altri saranno evacuati dai militari con un preavviso di sole due ore. In pochi giorni decine di migliaia di persone si riversano in pianura. Sono soprattutto donne, vecchi, bambini, bisognosi di tutto e senza un luogo dove andare. La tragedia del profugato rappresentò un momento terribilmente drammatico, con scene ed aspetti strazianti; i “convogli del dolore” diventavano una drammatica realtà per popolazioni che, per un anno intero, avevano vissuto e resistito accanto ai soldati italiani. L’esodo di decine di migliaia di persone si tradusse in un’autentica diaspora: vi furono coloro che, più fortunati, poterono sistemarsi nei paesi della pianura veneta; altri, invece, furono dispersi lungo l’intera penisola non sempre trovando quella comprensione e quell’ospitalità che avrebbero potuto almeno in parte alleviare le loro sofferenze fisiche e ancor più morali.
I profughi sono il segno tangibile di una momentanea sconfitta, rappresentata dalla perdita di un territorio; sospettati di essere spie, in quanto abitanti di confine; sentiti come un peso da popolazioni già duramente provate dalla guerra. Così, nelle cronache di quel periodo, dopo la concitazione della partenza, i profughi scompaiono. La documentazione ufficiale tace. La storiografia successiva dimentica. Per lungo tempo i profughi sembrano rappresentare un episodio vergognoso o quanto meno indegno di memoria, della nostra storia. Qualcosa che è meglio tacere.
La loro storia riemerge, dopo decenni di silenzio, nelle ricerche condotte da storici e appassionati attraverso i diari dei sacerdoti, che tanto si adoperarono per mantenere unite le popolazioni e alleviare le loro sofferenze, e nei ricordi di persone anziane intervistate negli anni ottanta e novanta del secolo scorso. E così, accanto a quello dei sacerdoti, ci resta il punto di vista dei bambini, principali vittime, come sempre, di ogni conflitto.
In questo racconto che si rivolge soprattutto agli studenti delle scuole, Paola Rossi, attraverso immagini e letture tratte da documenti, interviste, memorie, cerca di ricostruire una vicenda dimenticata e ridare voce ai protagonisti.